Abruzzo, 365 giorni dopo. La notte del 6 aprile 2009 una scossasismica di 5.8 gradi sulla Scala Richter causò 308 morti, oltre 1.600 feriti ela bellezza di 65.000 sfollati, che trovarono riparo nelle tendopoli e nellestrutture alberghiere di tutta le regione. Seguendo le iniziative organizzateper ricordare questo triste anniversario, salta agli occhi come alla prima fasedi emergenza, gestita a detta di tutti nel migliore dei modi (gli sfollatiebbero un riparo nel giro di 36 ore), non sia, a distanza di 365 giorni,seguita quella altrettanto importante della ricostruzione. Nei loro interventidurante le manifestazioni dell’ultimo mese, gli abruzzesi ribadisconol’ambiguità con cui viene gestita l’operazione, senza che nessuna certezza siadata a chi ha perduto l’abitazione o è ancora in attesa di conoscerne la sorte.
“Arrivati a maggio – giugno 2009, i cittadini hanno capitoche sarebbero rientrati nelle loro case solo dopo lunghi anni – raccontano –quindi c’è ancora chi si ostina a rimanere nelle proprie abitazioni,consapevole che al momento dell’uscita da casa, non la rivedrebbe praticamentepiù.”
E ancora: “Non c’è nessun controllo della Protezione Civilesu appalti e subappalti. Così è possibile attuare qualsiasi speculazioneedilizia, tanto che i terreni vengono venduti a 2.500 euro al metro quadro,quando il loro prezzo sarebbe molto inferiore.” I comitati civici, indignati,hanno levato la loro voce contro il tentativo di lucrare sulla tragedia, mainvano. D’altronde, le recenti intercettazioni telefoniche emersedall’inchiesta che ha travolto la Protezione Civile, partita proprio da Firenze loscorso febbraio, evidenziano che fin dalle prime ore dopo la tragedia c’era giàchi si fregava le mani pensando agli affari d’oro legati alla ricostruzione. Parolecosì pesanti da far dire al Sindaco aquilano Massimo Cialente: “Sono allibito.Sono forme di sciacallaggio che gettano ombra su tutti i fornitori che stannolavorando alla ricostruzione”.
Sullo stato attuale del capoluogo abruzzese è appena uscitoun interessante libro edito da Terre di Mezzo, dal titolo Terremoto.L’autore Enrico Macioci, aquilano, attraverso le storie di alcuni superstitidescrive la perdita di identità a cui un’intera comunità, quella aquilana, staandando rapidamente incontro. “Quello che prima era il centro storico –racconta Macioci – cuore pulsante della città, ad oggi è un immenso bucochiamato zona rossa. Ora è tutto spostato in periferia, manca un punto diaggregazione che la zona centrale de L’aquila ha sempre rappresentato per tuttii suoi cittadini. La gente non sa più dove andare. Al momento il centro storicocittadino è in uno stato tragico. A parte qualche puntellamento qua e là, nonsi è fatto ancora niente, e siamo già ad un anno dal sisma.”
E, sempre ad un anno di distanza, sono ancora ben vive leparole con cui pochi giorni prima Giampaolo Giuliani, tecnico dell’IstitutoNazionale di Astrofisica, aveva preannunciato l’arrivo di un forte sismaosservando la crescita del livello di radon (gas pesante presente in minima partenell’atmosfera). Il suo appello restò inascoltato e oggi ci chiediamo perchéquesta voce, pur proveniente da canali non istituzionali, non venne degnata della minima attenzione.
In questo panorama tutt’altro che confortante, una buonanotizia giunge da Pescomaggiore, piccolo borgo sulle montagne aquilane. Qui icittadini, riscontrato che dal progetto di ricostruzione era arrivata “soloqualche tenda e tante chiacchiere”, hanno deciso di rimboccarsi le maniche ecostituirsi in un comitato che, con l’aiuto di avvocati e architetti volontari,sta edificando 7 piccole abitazioni ecosostenibili dietro la minima spesa di150mila euro. Un esempio da seguire, e non solo nelle zone terremotatedell’Abruzzo.