Leonardo Pasquinelli – Castelnuovo

Fa freddo nella valle di Castelnuovo. E umido, di quell’umido che non fa asciugare i vestiti anche se li tieni stesi tutto il giorno. E qui, a pochi chilometri da L’Aquila, dove al clima rigido anche a primavera la gente è abituata dalla nascita, il freddo è sceso davvero dalla notte del 7 aprile, da quei ventiquattro secondi che hanno cambiato la faccia di interi paesi. Come Castelnuovo, appunto, frazione di duecento anime, divenuta di colpo cittadina fantasma con la sua dependance fatta di tende nella pianura sottostante dove hanno trovato rifugio i suoi abitanti. Qui sono morti in cinque, raccontano i vigili del fuoco presenti nel campo, fra i primi ad arrivare dopo la scossa, ma tutti hanno perso qualcosa. Le loro case sono sulla collinetta a meno di cinquecento metri, così vicine  che si potrebbe toccarle. Eppure ci vorranno mesi prima di poter decidere se e chi potrà farvi rientro. E saranno certamente in pochi, lo si capisce appena entri in quelle quattro vie che ora sembrano un set cinematografico, mentre passeggi scansando le mura che invadono la sede stradale. Anche le poche facciate che sembrano intatte, dietro nascondono crepe e crolli che rendono comunque le case da buttare. Un panorama desolante, che scoraggerebbe chiunque, tutto quello che avevi è crollato e da oggi inizia il resto della tua vita. Ma nonostante questo, aggirandosi per il campo, stupisce la forza di chi questa tragedia l’ha subita. Non un lamento nelle giornate di questa gente che, per quanto possibile, ha cercato fin da subito di rientrare in binari più il più vicino possibile alla normalità. Molti si alzano presto al mattino per andare a lavoro, i bambini stanno rientrando a scuola pur fra mille difficoltà. Quando parli con loro, neanche una lacrima. Anche i più anziani ti indicano le loro case poco distanti con il tono di chi racconta un contrattempo che se ne andrà veloce come è venuto. Tutto dipende da loro, ti fanno capire, dalla forza che avranno nel rimettersi in piedi. Nel frattempo il supporto di emergenza è giunto dalla Regione Toscana, capace di portare più di 80 volontari fra Anpas, Croce Rossa, Misericordia e Vab. A dire il vero, dopo i primi giorni di allarme un numero così elevato di personale appare eccessivo, dato che gli abitanti presenti nel campo sono appena 150. Accade così che spesso si vedono capannelli di divise di vario colore stazionare in attesa di qualche impiego ma tant’è: ogni emergenza vive una prima fase di massima visibilità, dove la massiccia presenza mediatica fa magicamente  accorrere chiunque cerchi la luce dei riflettori. Dopo inizia il lavoro vero, di medio lungo periodo, di assistenza a più di 70 mila persone che desiderano avere nuovamente una casa, una vita normale. In questa fase è fondamentale che le autorità agevolino la libera iniziativa di chi vuole riaprire subito un negozio, un’attività o qualsiasi cosa costituisca un centro di aggregazione e faccia rivivere le città, dove possibile. Quindi non più mesi per ottenere l’agibilità dai tecnici comunali, ma ispezioni il più veloci possibile. E infine, massima attenzione agli ingenti fondi che verranno stanziati per la ricostruzione. In questo, la desolante storia nazionale che parte dal Belice e passa per il Friuli e l’Irpinia, racconta di costi gonfiati a dismisura, somme giunte a tanti, troppi soggetti, prima che alle vittime effettive delle sciagure. Proprio per limitare questo rischio, i castelnuovesi del campo si sono già costituiti in associazione, in modo da poter gestire direttamente i fondi che arriveranno. E nella loro sede, in quella tenda di due metri per due, ripongono una convinta determinazione, perché per loro la disgrazia è già alle spalle. Ora bisogna vigilare perché nessuno ci aggiunga la beffa.

fonte: Metropoli Chianti del 24/04/2009