ROMA – E’ finito l’incubo di Eugenio Vagni. Finalmente libero – senza nessun blitz né pagamento di riscatto – dopo sei mesi di prigionia nella giungla in mano ai ribelli islamici di Abu Sayyaf che lo avevano rapito, sull’isola di Jolo, nelle Filippine, insieme ad altri due operatori della Croce Rossa Internazionale rilasciati in aprile. A dare l’annuncio del rilascio è stato questa sera Franco Frattini, il ministro degli Esteri che, in questi interminabili 178 giorni – in costante contatto con il Comitato Internazionale della Croce Rossa e le autorità di Manila – si è prodigato per favorire la liberazione di Vagni, con la determinazione di non mettere mai a rischio l’incolumità dell’ostaggio.

Un obiettivo raggiunto visto che l’operatore della Croce Rossa, 62 anni, originario di Montevarchi (Arezzo), nonostante la lunga prigionia fatta di svariati spostamenti nella giungla e resa più dura da una dolorosa ernia del disco, è dopotutto in “buone condizioni di salute”. E così appare nelle prime immagine diffuse dalla Reuters: dimagrito, stanco ma visibilmente sollevato. “Ho fatto presente al ministro degli Interni delle Filippine che ritenevamo pericoloso in quelle condizioni effettuare un blitz che non c’é stato neanche per la liberazione degli altri ostaggi”, ha raccontato soddisfatto il titolare della Farnesina, fin dall’inizio della vicenda assolutamente contrario ad azioni di forza per riportare a casa Vagni. Una soddisfazione condivisa dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e dal Papa che, per il rilascio di Vagni aveva lanciato ben due appelli, uno a marzo e l’altro a giugno.

“E’ prevalso un messaggio” che ha fatto sentire i rapitori “isolati”, è la spiegazione fornita da Frattini. A riferire invece che per la liberazione dell’italiano “non è stato pagato alcun riscatto” è stato il capo della Croce Rossa nelle Filippine, Richard Gordon. La liberazione è avvenuta – ha spiegato – dopo che i militari hanno acconsentito a rilasciare due mogli e alcuni figli di un importante capo di Abu Sayyaf, l’organizzazione separatista islamica responsabile del sequestro. Sono stati sei lunghi mesi durante i quali non sono mancati momenti in cui era facile perdere la speranza di rivedere Vagni vivo: uno per tutti quando, in marzo, i rapitori lanciarono la minaccia di decapitare uno degli ostaggi se l’esercito governativo non si fosse ritirato dall’isola di Jolo. Per la diplomazia italiana si è trattato di un “lavoro paziente e capillare” condotto in contatto con sequestratori che – come ha spiegato Frattini subito dopo l’annuncio del rilascio – “si sono sentiti nella condizione di doverlo liberare senza mettere a rischio la vita del nostro connazionale”. Riconquistata la libertà Vagni si trova ora al sicuro, consegnato nelle mani del governatore dell’isola di Jolo. Le autorità filippine stanno svolgendo indagini sul sequestro pertanto è importante – si è raccomandato il ministro Frattini – non rivelare particolari, primo fra tutti il luogo della liberazione di Vagni. Ai “tempi ed i modi” del suo rientro a Montevarchi penserà il comitato della Croce Rossa Internazional. La telefonata più importante, alla moglie Khwanruean Phungket che era già nelle Filippine impaziente di riabbracciarlo, l’ha fatta subito.